Cos’è lo streetwear: significato e storia

streetwear

Streetwear, letteralmente abbigliamento da strada, è una parola che ha una lunga storia. Le sue radici si mescolano con la cultura giovanile della East Coast statunitense: quello che, oggi, alcuni chiamano stile urbano era l’abbigliamento usato da chi amava fare skateboard o fare surf.

Storia e significato dello streetwear

Dare una data di nascita allo streetwear è alquanto difficile, se non impossibile.

Rappresenta letteralmente la moda di strada e nasce intorno agli anni 70 e primi anni 80; inizialmente era una sub-culture nata nella West-Coast appartenente al mondo dello Skate e del Punk e ne facevano parte dei giovani che idearono un vero e proprio modo di vestire legato alla strada, da questo infatti l’appellativo street, ed era il loro modo di essere. Definirono i loro codici di abbigliamento senza guardare ai suggerimenti dell’haute couture, ma prendendo spunto dall’ambiente in cui vivevano. L’esempio più emblematico è il Punk, violento e libero da ogni convenzione, che trasforma gli abiti in rotti e stracciati, volutamente usurati.

Lo streewear è proprio uno stile di abbigliamento informale e giovanile, tipico dei ragazzi che praticano rap, skate e break dance.

Nel corso degli anni lo streetwear ha subito molte influenze da parte di mondi e culture diverse fra loro, e maggiore influenza l’ha avuta il mondo dei graffiti, soprattutto quello hip-hop, e ad oggi, l’associazione hip-hop-streetwear, è quella maggiormente diffusa. A definirlo sono i Run DMC: tute in acetato con strisce laterali, T-shirt a tinta unita, cappelli di feltro, collane d’oro con grandi ciondoli e sneakers; esattamente gli abiti indossati nel Bronx.

Fondatori dello streetwear

Uno dei primi brand streetwear, ancora oggi molto diffuso, è Stussy, fondato da Shawn Stussy nei primi anni 80 ed è considerato come il primo brand streetwear in quanto fu uno dei primi ad esprimere la passione verso questa subculture. Shawn Stussy nasce nel 1954 e inizia il suo percorso nei primi anni ’80 a Laguna Beach, in California, producendo tavole da surf e T-shirt con il so cognome stampato. Nel 1984 nasce il logo e successivamente il primo negozio neworkese, aperto insieme a James Jebbia, futuro fondatore di Supreme. Il caso di Stussy è interessante poiché riuscì a commercializzare uno stile di vita e questo fa di lui l’iniziatore del movimento streetwear.

L’idea di Stussy ha segnato un cambiamento epocale nel mondo della moda, il suo brand, in pochissimo tempo, si è diffuso in tutto il mondo, guadagnando milioni e dando vita ad un fenomeno mondiale, ad un credo. Tutto questo ha portato alla nascita di altri brand che hanno segnato la storia di questa cultura; brand come Supreme o Adidas e Nike, i quali producono capi sportivi ma non da usare esclusivamente per lo sport. Un esempio furono le sneakers, la scarpa da ginnastica diventata qualcosa di quotidiano, qualcosa da indossare non solo per l’attività sportiva; diventano così un elemento fondamentale nell’abbigliamento street.

Lo streetwear in Giappone

Negli stessi anni, in Giappone, Hiroshi Fujiwara, dj e cultore dello streewear americano, è il primo giapponese a entrare nella celebre International Stussy Tribe e fonda il marchio Goodenough. Arrivano quindi le prime influenze occidentali, da cui nasce il movimento Urahara, omonimo di un quartiere in cui il punk e l’hip hop hanno ottenuto rilevanza.

Altro grande protagonista è Tomoaki Nagao, conosciuto come Nigo, assistente di Fujiwara e fondatore del brand A Bathing Ape. Da qui ci si rende conto di quanto sia dura attribuire il titolo di padre dello streewear ad un singolo individuo, perché per quanto Stussy possa essere stato influente negli anni, quando il movimento non era ancora conosciuto come tale in tutto il mondo, ogni nazione e paese stava vivendo la nascita dello streewear a seconda della propria cultura.

È dunque chiara la difficoltà di rendere universale questo movimento culturale, ma meno difficile è identificare l’anima del movimento e chi ha coinvolto.

I vari fondatori dello streewear non creavano con lo scopo di guadagnare ma con l’intento di trasmettere un messaggio, per la necessità di colmare e per la passione che li motivava.

All’epoca, chi acquistava le loro T-shirt, non lo faceva perché erano belle o perché si abbinavano ai jeans che avevano appena comprato e perché faceva tendenza, ma le acquistavano perché indossandole avrebbero rappresentato una storia, un’ideologia, uno stile di vita nel quale si identificavano e del quale si sentivano parte.

Con la crescita dello streetwear, c’è stato anche uno sviluppo della cultura hypebeast legata allo streetwear a partire dalla metà degli anni 2000. Gli hypebeasts sono definiti come persone che seguono un preciso stile. Questa tendenza si ispira alla moda degli anni ’90 per l’abbigliamento rivestito di marchi e loghi.

Tra alcuni può nascere anche una vera passione per lo streetwear e in particolare gli sneaker head che sono persone, in particolare giovani e adolescenti, che sviluppano una vera passione per le scarpe anche alimentate dalle varie riviste di moda. In più ci sono anche molti collezionati di sneakers che negli anni possono arrivare a collezionare oltre 800 paia di sneakers perlopiù pezzi rari e difficilmente reperibili.

I brand di streetwear

Attualmente, i brand più noti di streewear sono:

  • Supreme;
  • Nike;
  • Off-White;
  • Adidas;
  • BAPE;
  • Stussy;
  • Palace;
  • Carhartt WP;
  • Vetements.

Oggi questo movimento culturale non viene considerato tale o comunque passa sott’occhio, perché non è più una novità vestirsi street, in molti lo fanno involontariamente in quanto si è spinto dentro la mente di tutti, anche degli stilisti di moda più importanti. Il fashion tradizionale dice di non abbinare fantasie con fantasie e di non esagerare con l’accostamento dei colori, ma la moda di oggi, quella streetwear, afferma il contrario. Via libera all’estro e all’eccesso, al mix e match, alla fusione di stili e motivi differenti. La parole d’ordine è sperimentare!

Lo streetwear non è solo un modo di vestire, non è solo moda, è storia.

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